Voglio tornare a provocare.
Dopo l’articolo che ho scritto per il mio sito (www.romolodifrancesco.it), dal titolo Paradosso sull’inesistenza dell’accelerazione sismica, questa volta voglio attaccare il mito della doppia risonanza che tante volte ho letto (ma ho anche sentito); vediamo prima di chiarirne il presunto significato, riportando solo alcune delle tante definizione lette in vari siti web e/o riviste tecniche e/o libri tecnici (evito di citare le fonti, ma aggiungo qualche commento in corsivo):
Vediamo di fare chiarezza evitando fastidiose trattazioni matematiche (a proposito, i dettagli teorici ed applicativi li trovate nei miei libri Introduzione al metodo degli elementi finiti e Meccanica delle strutture geologiche e geotecniche). Innanzitutto interpello il dizionario Treccani che cita: Risonanza: in fisica, il fenomeno per cui l’ampiezza delle oscillazioni indotte in un sistema oscillante (meccanico o elettrico) da una sollecitazione esterna assume in determinate condizioni valori molto elevati. Quindi, si parla di un sistema oscillante (nel nostro caso, l’edificio) sollecitato esternamente (nel nostro caso da un terremoto); da nessuna parte si parla di doppia risonanza, a meno di introdurre una doppia forzante generalmente usata in chimica per il “disaccoppiamento protonico di spin”.
Trasponendo l’analisi ad un edificio sollecitato da un sisma, è noto che lo stesso tende a comportarsi come un oscillatore forzato smorzato a molti gradi di libertà, la cui equazione del moto è ben conosciuta. La forzante esterna F è data dal sisma ed ha una propria frequenza angolare w0; lo smorzamento c dipende dalla tipologia costruttiva (si veda a tal proposito un altro mio articolo dove faccio chiarezza distinguendo lo smorzamento interno da quello viscoso equivalente); sia m la massa dell’oscillatore (nel nostro caso dell’edificio).
Se la frequenza angolare della forzante sismica è uguale a quella dell’oscillatore il sistema va in risonanza (non in doppia risonanza, che richiede la presenza di una seconda forzante), con la conseguenza che l’ampiezza delle oscillazioni raggiunge il suo valore massimo secondo la seguente semplice equazione:
Amax = F/cw0
La stessa afferma che l’ampiezza delle oscillazioni in condizione di risonanza diventa estremamente grande se il fattore di smorzamento è piccolo e viceversa; ragion per cui, non necessariamente la risonanza deve condurre all’esplosione di un edificio come saremmo tentati di pensare. Si veda a tal proposito i seguenti due filmati.
Filmato 1
Filmato 2
Nel primo filmato si vede un bicchiere che comincia ad oscillare sempre di più per effetto della risonanza fino alla rottura violenta (per gli edifici non necessariamente è così); nel secondo filmato si vedono gli effetti selettivi del contenuto spettrale della forzante sismica nei confronti della geometria degli edifici.
Tornando al fenomeno della risonanza (una e una sola), occorre aggiungere che il problema è diversificato se il sisma si propaga nella roccia, prima di raggiungere le fondazioni di un edificio, oppure entra nei terreni su di essa poggiati (pensiamo, ad esempio, ai depositi alluvionali, o fluvio-lacustri o di altra natura – figura 1) che notoriamente hanno velocità di propagazione delle onde molto inferiore rispetto al sottostante substrato.
Figura 1. Esempio di terreni alluvionali, di modesto spessore, poggianti su substrato roccioso
Nel primo caso, salvo lievi modifiche che dipendono dalle diverse caratteristiche dinamiche delle rocce (stiamo pur sempre parlando di mezzi molto rigidi, con velocità di propagazione delle onde di qualche chilometro al secondo) il sisma sembrerebbe rimanere all’incirca invariato; nel secondo caso occorre considerare che il terreno funziona come un filtro passa-basso (un fenomeno ben noto in elettronica), capace di eliminare le componenti di (relativa) alta frequenza e di operare un vero e proprio filtraggio in frequenza ai terremoti modificandone il contenuto spettrale.
In definitiva, nel caso di edifici fondati su roccia sembra lecito parlare di risonanza (e mai di doppia risonanza) per accoppiamento in frequenza tra il terremoto e gli edifici; al contrario, nel caso di edifici fondati sul terreno è quest’ultimo ad andare in risonanza con gli edifici e non il terremoto, così come è avvenuto ad Amatrice dove sono presenti cospicui spessori di terreni fluvio-lacustri.
Figura 2. La strada separa due zone geologicamente molto diverse tra loro
Figura 3. Danni negli edifici fondati sulle alluvioni di figura 2
Un esempio lampante degli effetti descritti è offerto dalla via in cui abito io (a Teramo, a circa 30 chilometri da Amatrice in linea d’aria), con la strada che separa gli edifici fondati su ghiaie sabbiose di conoide (figura 2, in primo piano) da quelli fondati sul substrato; i primi sono stati danneggiati dal sisma di Amatrice (figura 3), mentre i secondi no.
Cambiamo argomento, salvo tornare più tardi sul problema della risonanza.
Giorni fa ho partecipato ad un illuminante corso del Prof. Aurelio Ghersi sulla verifica di strutture esistenti in cemento armato, chiaramente improntato sull’analisi pushover (letteralmente significa “spingi oltre”). La pushover è stata introdotta dalle attuali norme tecniche per le costruzioni, condensate nel Dm 14.01.2008, e non è altro che un’analisi statica non lineare quale valida alternativa all’analisi dinamica non lineare al passo; nello specifico:
- l’analisi dinamica (rappresentante indubbiamente lo strumento più efficace ed evoluto) analizza la risposta sismica di una struttura, mediante l’integrazione al passo delle equazioni non lineari del moto, modellandola come un sistema a numerosi gradi di libertà;
- la pushover calcola gli effetti della distribuzione di sollecitazioni sismiche crescenti (a partire da uno spettro di risposta compatibile con l’azione sismica normativa attesa per il sito) per analizzare il comportamento di strutture dissipative (a comportamento elastoplastico) fino al collasso locale o globale tramite la comparsa di cerniere plastiche.
In pratica, la pushover consiste nello spingere una struttura fino al collasso o fino al raggiungimento di un valore limite degli spostamenti. Qual è il suo limite concettuale?
Figura 4. Esempio di distribuzione del profilo di carico sismico iniziale agente su una struttura e della relativa deformata
Il limite sembra essere nella distribuzione fissa delle sollecitazioni sismiche (intesa come profilo di carico o distribuzione geometrica delle forze iniziali - figura 4) poiché non sarà mai in grado di considerare gli effetti dovuti alla ridistribuzione delle forze inerziali generata dalla crescente plasticizzazione, a sua volta responsabile delle continue variazioni delle caratteristiche vibrazionali della struttura in analisi. Sì, è vero che per superare tali limitazioni è stato proposto l’uso di distribuzioni di carico adattive in funzione delle variazioni temporali della distribuzione delle forze inerziali, ma è anche vero che:
1) l’implementazione di tali routine nei programmi di calcolo non è affatto banale, al punto che il metodo potrebbe rimanere a livello di ricerca scientifica;
2) si rischia di complicare eccessivamente il metodo al punto da rendere conveniente il ricorso all’analisi dinamica.
Resta comunque il fatto che l’evoluzione del danneggiamento strutturale sotto sisma comporta una continua variazione dei modi propri di vibrare di una struttura, ossia comporta una continua variazione (in aumento) dei periodi di vibrazione poiché vengono a diminuire i vincoli. Tale aspetto è chiarito anche dalle vigenti NTC che al paragrafo 3.2.3.5 citano: Qualora le verifiche agli stati limite non vengano effettuate tramite l’uso di opportuni accelerogrammi ed analisi dinamiche al passo, ai fini del progetto o della verifica delle strutture le capacità dissipative delle strutture possono essere messe in conto attraverso una riduzione delle forze elastiche, che tiene conto in modo semplificato della capacità dissipativa anelastica della struttura, della sua sovraresistenza, dell’incremento del suo periodo proprio a seguito del danneggiamento.
A questo punto possiamo ritornare sulla risonanza, perché l’argomento suggerisce che durante il danneggiamento sismico gli effetti dovuti ad un accoppiamento in frequenza non possano essere realmente catastrofici (come invece sembra dal secondo filmato, seppur su modelli estremamente semplificati), dal momento che con il danneggiamento strutturale aumenta il periodo di vibrazione e diminuiscono le forze sismiche.
Figura 5. Esempio di spettro
Per chiarire l’ultimo aspetto si faccia ora riferimento alla figura 5, che illustra un classico spettro sismico costruito secondo le vigenti norme tecniche sulle costruzioni; dalla semplice analisi dello stesso possiamo trarre alcune considerazioni importanti:
a) una struttura infinitamente rigida, alla quale corrisponde periodo nullo, è sollecitata da un’accelerazione pari a quella del suolo (PGA);
b) strutture con alti periodi, come i campanili e i grattacieli, manifestano alti periodi e sono, pertanto, poco sollecitate dai terremoti;
c) le strutture con periodi intermedi, soprattutto se comprese nel tratto TB – TC sono quelle più sollecitate dai terremoti e su queste occorre porre maggiore attenzione (soprattutto se esistenti).
Figura 6. Variazioni delle accelerazioni sismiche al variare del periodo delle strutture
In definitiva, dall’analisi dello spettro sismico si evince che il danneggiamento che avviene durante un terremoto comporta un incremento del periodo delle strutture con conseguente diminuzione delle forze che le sollecitano (figura 6); e anche vero, però, che all’incremento del periodo di una struttura corrisponde anche un aumento degli spostamenti massimi, che comunque tendono ad essere contenuti in presenza di un alto fattore di smorzamento (ricordiamoci l’equazione ad inizio articolo).
Sarà vero tutto ciò?
Romolo Di Francesco (direttore scientifico dei Meccanici Terrestri)
Via della Fontana n. 34
Mentana (RM) - 00013